I mulini del vallone di san Grato a Issime.

Un centinaio di persone hanno partecipato alla visita dei cantieri di studio nel vallone di san Grato a Issime (AO) lunedì 22 agosto. L’iniziativa, voluta dall’Associazione Augusta e realizzata in collaborazione con la nostra Société valdôtaine de préhistoire et archéologie e la Société de la flore valdôtaine, ha riscosso un grande successo nonostante l’alta quota.

Accolti dal presidente dell’Augusta, il dottor Michele Musso, che tanto si spende per promuovere la valorizzazione culturale del territorio di Issime, la visita ha preso il via presso Chröiz, vicino alla cappella di San Grato con una sua introduzione sulle specifiche caratteristiche degli antichi abitanti di questo vallone che è stato culla di una delle comunità Walser della Valle del Lys.

Passeggiando lungo il sentiero verso Zar Stubbu, il mulino di Stubbi, abbiamo fatto una prima tappa in una torbiera. Qui è intervenuto per la parte botanica Donato Arcaro che si è soffermato sulle caratteristiche della vegetazione del vallone, sulla fauna, ma soprattutto sulle torbiere.

Qui è intervenuto il nostro socio Paolo Castello che ha brevemente illustrato le caratteristiche geologiche e geomorfologiche di questo vallone sospeso di origine glaciale, in cui sono presenti alcune splendide torbiere, serbatoio di diversità per le specie vegetali ed animali e archivio naturale per la storia naturale e antropica del territorio, ricostruita grazie ad analisi polliniche ed analisi al 14C fino a circa 9200 anni fa. Le analisi dei pollini di segale e quelli tipici che si sviluppano col pascolamento contenuti nella torba hanno permesso di datare le fasi dell’insediamento umano a san Grato. L’inizio della sedimentazione della massa organica nella torbiera Reich data al periodo appena successivo al ritiro del ghiacciaio.

 

 

Per la parte botanica è intervenuto Donato Arcaro, guida naturalistica, che si è soffermato sulle caratteristiche della vegetazione del vallone, sulla fauna, ma soprattutto sulle torbiere della Mongiovetta e di Réich, studiate da Elisabetta Brugiapaglia. La presenza di pollini di cannabis e di cereali permette di datare il popolamento umano della valle del Lys a 6000 orsono (3960 AC). I pollini hanno registrato negli spessi depositi di sfagni che hanno originato le torbiere, periodi di coltivazione più intensa, con abbondanza di piante legate al pascolo e alla cerealicoltura, e altri di abbandono (per pestilenze e cambiamenti climatici), caratterizzati dalla presenza di alneti e altri alberi pionieri. La comparsa di pollini di castagno in epoca romana ci conferma l’introduzione di questo albero da parte dei Romani. I boschi di conifere comprendono, oltre a larici e abeti rossi, un buon numero di pini cembri dai caratteristici coni con pinoli che sono appetiti dalla nocciolaia, un corvide che forma una vera e propria simbiosi mutualistica con questo albero, favorendo la diffusione dei pesanti semi. A causa della stagione avanzata e dell’estate particolarmente calda, poche piante erano ancora in fiore, tra queste il brugo (Calluna vulgaris), un’ericacea che forma qua e là dei tappeti rosa. Nella parte più alta del percorso abbiamo osservato numerosi esemplari di Senecio sudafriano, una specie aliena, tossica per il bestiame ed estremamente invasiva. Arcaro ha invitato a installare sui propri smartphone l’app AlienAlp per segnalare la localizzazione di queste piante alloctone che costituiscono un danno per l’allevamento e un rischio per  l’integrità degli habitat di montagna.


Mauro Cortelazzo, archeologo e nostro vice presidente, ha esposto i risultati degli interventi archeologici realizzati nel corso di alcuni anni su due mulini (Brochnu Mulli e Stubbi edificati nel XV secolo e poi ricostruiti o riadattati all’inizio del 1600) e di un forno posti a quote altimetriche comprese tra i 1700 e i 1900 metri di quota. E’ stato in tal modo possibile fare partecipi coloro che hanno deciso di trascorrere una giornata in questo splendido vallone, di particolari architettonici e soluzioni tecniche adottate secoli or sono nella costruzione di questi edifici e raccontare in che modo funzionavano questi mulini e quali particolari macine erano utilizzate. Si sono così sottolineati e compresi i criteri e le dinamiche insediative che regolavano l’organizzazione di un territorio d’alta quota con le sue scelte e i suoi ritmi stagionali. Ha stupito tutti scoprire che le macine provenissero dalla Valtournenche.

E’ intervenuto anche lo storico Ezio Emerico Gerbore, altro nostro vice presidente SVAPA, raccontando le vicende della strega di Issime Yona di Bourinnes. Yona, vedova di Anthonius de Fey de Vallesia, è stata denunciata il 7 settembre 1460, con deposizione rilasciata al giudice della castellania di Vallaise di Arnad, con l’accusa di aver compiuto assieme ad altre persone dei malefici ai danni delle sue mucche “per ispirazione diabolica”. Inoltre era ritenuta in grado di guarire uomini e animali dalle loro infermità. Tra le accuse più gravi vi è quella di aver causato la morte del suo primo marito, di Martino De Fey e dei suoi figli. Dinanzi al tribunale dell’Inquisizione ha confessato di essere “prientatrix” – termine del dialetto locale per indicare colei che sa scagliare un maleficio o che sa curare le malattie – e ha rivelato le formule del sortilegio per guarire “lo silac” e di quello “de occulo”, malattie non ben identificate.


“Il grande successo di questa iniziativa ha dimostrato una volta di più non solo l’effettivo tangibile desiderio di scoprire o riscoprire il proprio territorio nelle sue pieghe e nei suoi angoli meno conosciuti, commenta in conclusione il nostro presidente Stella Bertarione – ma ha ulteriormente sottolineato dal punto di vista archeologico come l’integrità di un angolo di territorio, un’integrità naturalistica, paesaggistica e geologica possa dare la possibilità ai ricercatori di ricostruire la storia di questo lembo di territorio da un punto di visto naturalistico e antropico. È stato infatti evidenziato come i depositi geologici nel vallone di san Grato aiutino gli studiosi a risalire indietro fino a 11000 anni fa e ha dimostrato anche dal punto di vista dell’architettura rurale quanto sia importante poter tutelare, preservare e valorizzare dei contesti paesaggistici come questo. Auspichiamo quindi un prosieguo delle ricerche e ulteriori analoghi casi di studio e di veicolazione al pubblico.”

Ringraziamo per il grande impegno l’Associazione Augusta e la Société de la flore valdôtaine e ringraziamo il numeroso pubblico intervenuto.

 

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